Storia della schiavitù in Africa by Paul E. Lovejoy

Storia della schiavitù in Africa by Paul E. Lovejoy

autore:Paul E. Lovejoy [Lovejoy, Paul E.]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858782583
Google: 5uOPDwAAQBAJ
editore: Bompiani
pubblicato: 2019-03-25T23:00:00+00:00


Gli stati del Dahomey e dell’area yoruba

La schiavitù nel Dahomey e negli stati yoruba, a est, fu altrettanto importante quanto lo fu nell’Asante.19 Questi stati continuarono a esportare schiavi per le Americhe durante tutti gli anni quaranta dell’Ottocento, e il volume della tratta, anche se fortemente ridotto dopo la metà secolo, continuò a un livello di parecchie migliaia all’anno fino al 1866. Anche in quest’area, gli schiavi furono impiegati su vasta scala nell’economia locale, e la transizione verso il commercio “legittimo” si realizzò principalmente con la produzione dell’olio di palma e il suo trasporto sulla costa con l’impiego di migliaia di braccianti e portatori quasi esclusivamente schiavi. Un aspetto della schiavitù in questa regione fu la concentrazione di schiavi nelle mani di pochi proprietari. L’economia di piantagione e il trasporto delle merci mediante portatori schiavi comportò la ristrutturazione dell’economia interna. Proprietari di schiavi emersero non solo tra i ranghi dei funzionari governativi, ma anche tra i mercanti, sia locali che stranieri.

Come nelle province akan dell’Asante, la condizione legale degli schiavi veniva espressa nel linguaggio della parentela. I contratti matrimoniali, l’accesso alla terra, la cooperazione alla difesa e le credenze religiose erano concepite in termini di relazioni di parentela. A differenza dell’Asante, tuttavia, la parentela era basata sul principio patrilineare. Le pratiche differivano perché la linea maschile costituiva la connessione fondamentale, e questa distinzione implicava una maggiore enfasi sulla paternità. I figli delle donne schiave e di uomini liberi erano tecnicamente liberi. L’importanza di possedere schiavi domestici, inclusi donne e bambini acquistati di recente, dipendeva dalla possibilità della loro incorporazione nelle unità familiari nel momento in cui avessero dimostrato una completa acculturazione e provato la loro lealtà. La tendenza, come tra gli asante, era verso l’assimilazione di questi schiavi, e il mito sociale della schiavitù sosteneva che l’assimilazione fosse appropriata e inevitabile, a patto che gli schiavi, in particolare i loro immediati discendenti, aderissero alle attese culturali della società. Una volta che gli schiavi o i loro figli fossero stati assimilati culturalmente, potevano aspettarsi di essere trattati come membri a pieno titolo della famiglia.

Questo era il modo in cui si supponeva che la schiavitù funzionasse, ma la pratica effettiva fu piuttosto diversa. Le dimensioni delle proprietà di schiavi nel Dahomey e negli stati yoruba di Ibadan, Ijebu, Abeokuta e Lagos erano così grandi che le persone libere costituivano solo la minoranza della popolazione, soprattutto alla metà del XIX secolo. I signori della guerra e i ricchi mercanti, incluse anche alcune donne, accumularono centinaia, anche migliaia di schiavi, di gran lunga troppi perché potessero essere assimilati nei loro gruppi di parentela. I possessori di schiavi erano i primi a essere interessati al successo delle guerre e al funzionamento del mercato, quindi ignorarono ampiamente le tradizioni e le leggi che incoraggiavano l’incorporazione degli schiavi e la loro graduale emancipazione. Soltanto alcuni individui furono in grado di essere ricompensati con l’estensione dei diritti di parentela, e i figli di donne schiave e padri liberi potevano aspettarsi un trattamento migliore rispetto ai figli di genitori entrambi schiavi.



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